Dicono che per vedere quanto si è cambiati bisogna tornare nei posti dell'infanzia. Sicuramente rientrare nella propria scuola dopo anni suscita effetti inaspettati e innesca riflessioni ed interrogativi a cui non è sempre facile dare una risposta. Il modo in cui i ragazzi di oggi si muovono suo palcoscenico della vita, consci dei riflettori puntati su di loro e dell'audience che li segue, è appariscente e rumoroso dove l'obiettivo principale della loro performance è raccogliere gli applausi e anche i fischi, basta che ci si accorga di loro. Sono sempre al centro della scena e anche in classe non vi è una chiara percezione di chi siede ai banchi e chi in cattedra. Ho sentito dare del "tu” ai propri professori e criticare i metodi di insegnamento degli stessi e ho ricordato come solo pochi anni prima tutto ciò fosse impensabile. Allo stesso tempo ho visto professori che identificano nel rapporto alla pari l'unica forma di accesso ai loro studenti come se fossero da questi intimoriti e per primi loro bisognosi di consenso. Se vediamo questo fenomeno come una manifestazione di una tipologia di rapporto tra giovane-.adulto, forse capiamo come mai i ragazzi non sanno più riconoscere l'autorità e non rispettano le regole. Un noto filosofo, Umberto Galimberti, parla di un un rapporto "contrattualistico" dove genitori e insegnanti si sentono continuamente tenuti a giustificare le loro scelte nei confronti del giovane, che accetta o meno ciò che gli viene proposto in un rapporto ugualitario. Spiega l'autore che oggi essi non guardano più ai loro padri come un modello da seguire perchè la loro prospettiva futura è minata dalla discontinuità, dalla precarietà e dalla poliedricità di fonti di identificazione e i genitori cadono nel meccanismo della contrattualità dove ad un traguardo corrisponde una ricompensa (es. promozione e motorino), dove la ricompensa è in fondo più per i genitori stessi che così si assicurano l'affetto dei loro figli; un fenomeno che però annulla completamente la loro autorità. Ma la relazione tra giovani e adulti non è simmetrica, e trattare l'adolescente come un proprio pari significa non contenerlo, e soprattutto lasciarlo solo di fronte all'ansia che ne deriva. Non è possibile arginare questo drammatico problema se non ritorniamo (noi adulti, padri e madri, fratelli e sorelle maggiori) ad educare i più piccoli. E’ necessaria una "auctoritas”, una forza, cioè, capace di far crescere i ragazzi, che sia in grado di indicare la direzione giusta e di operare la distinzione tra bene e male, un moto culturale nuovo che deve contrastare i modelli imposti dalla tv e dalla politica dei furbi. Oggi succede che si scambi l’autorità con un autoritarismo di altri tempi, con la forza che impone dei comportamenti, senza chiedersi che cosa vi sia dietro a essi o dentro la coscienza di chi li assume. L’esito della crisi dell’autorità è la solitudine in cui crescono i ragazzi e i giovani: illusi di essere più liberi, in effetti abbandonati a se stessi nell’impresa decisiva della loro vita: quella di scegliere chi diventare, senza saper bene chi si è. Dall’attuale crisi dell’autorità si può uscire solo riscoprendo il significato autentico di questa dimensione fondamentale della relazione educativa: offrendo proposte, persuadendo, dando ragioni, sostenendo nel vivere ciò che si propone, dando regole e correggendo quando le regole vengono infrante. Per gli educatori questo è un compito che richiede impegno e la responsabilità di essere adulti: un compito che è anche un cammino, lungo il quale l’adulto continua a crescere, e diviene autorevole, punto di riferimento, riconosciuto e cercato perché capace di indicare ai più giovani la strada della realizzazione di sé.
Pubblicato il 03/01/2012